Ricorso per cassazione inammissibile via pec

Nel processo penale non è consentito alla parte privata l’uso della posta elettronica certificata per la trasmissione dei propri atti alle altre parti né per il deposito presso gli uffici, perché l’utilizzo di tale mezzo informatico – ai sensi dell’art. 16, comma 4, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 – è riservato alla sola cancelleria per le comunicazioni richieste dal Pubblico ministero ex art. 151 cod. proc. pen. e per le notificazioni ai difensori disposte dall’autorità giudiziaria.

Il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame in materia cautelare deve, a differenza della richiesta di riesame, essere depositato esclusivamente presso la cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento nel termine di dieci giorni.

Non vi è altra soluzione alternativa.

Il rigore interpretativo della Suprema Corte dovrebbe indurre il legislatore ad implementare con urgenza il processo penale al fine di adeguarlo alle attuali tecnologie informatiche, vuoi anche solo mutuando le regole tecniche dal processo civile, pena l’arretratezza persistente del processo penale rispetto a quello civile.

Basti considerare che il deposito del ricorso di legittimità è viceversa ammesso per i ricorsi civili in tale fase emergenziale.

Ma l’emergenza c’è – e si sente – anche nel processo penale.

Per inciso, il “Codice digitale” è stato emanato oramai tre lustri fa.

Di seguito la pronuncia integrale 27127/2020 resa dalla Corte di Cassazione Prima Sezione Penale.

27127/2020

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE PENALE

PRES.: IASILLO

REL.: LIUNI

SENTENZA sul ricorso proposto da: omissis, nato a omissis avverso l’ordinanza del 16/3/2020 del TRIBUNALE di CATANIA

udita la relazione svolta dal Consigliere TERESA LIUNI;

Sentite le conclusioni del Procuratore generale, GIUSEPPINA CASELLA, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

  1. Con ordinanza del 16/3/2020 il Tribunale del riesame di Catania, adito da omissis ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., ha confermato l’ordinanza del GIP in sede in data 17/2/2020 applicativa della custodia cautelare in carcere per l’omicidio premeditato di omissis, aggravato ai sensi dell’art. 416 bis.1 cod. pen., commesso a omissis, come descritto al capo f) dell’imputazione provvisoria.
  2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagato, avv. omissis, deducendo a motivi di impugnazione la violazione di legge ed il vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen., censurando sia la ritenuta gravità del quadro indiziario, per le rilevate discordanze logiche delle propalazioni dei collaboratori di giustizia, tali da escludere ogni collegamento individualizzante del omissis, che la sussistenza delle esigenze cautelari, con riguardo al difetto dei requisiti di attualità e concretezza delle medesime e all’omessa considerazione del rilevante lasso di tempo trascorso dagli accadimenti delittuosi. Ha proposto distinto ricorso anche l’avv. omissis, contestando la presunzione di attualità delle esigenze cautelari e la mancanza di ogni motivazione sul punto.
  3. Il Procuratore generale, dr.ssa Giuseppina Casella, ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo ricorso, proposto dall’avv. omissis, è stato inviato a mezzo PEC alla cancelleria del Tribunale di Catania in data 1/6/2020.

1.1. Deve rilevarsi che tale modalità di deposito del ricorso di legittimità non è ammessa, nemmeno a tenore della legislazione emanata per fronteggiare l’emergenza sanitaria in corso, in quanto l’art. 83, comma 11, D.L. n. 18 del 17 marzo 2020, convertito dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, prevede tale possibilità solo per i ricorsi civili. Deve infatti considerarsi che in materia di impugnazioni vige il principio di tassatività ed inderogabilità delle forme stabilite dalla legge per la presentazione del ricorso, disciplinate dagli artt. 582 e 583 cod. proc. pen., disposizioni la cui osservanza è sanzionata a pena di inammissibilità, ai sensi dell’art. 591, lett. c), cod. proc. pen., con la conseguenza che la presentazione dell’impugnazione con mezzi diversi da quelli previsti dalla legge è inammissibile.

1.2. Invero, è stato affermato da questa Corte che nel processo penale non è consentito alla parte privata l’uso della posta elettronica certificata per la trasmissione dei propri atti alle altre parti né per il deposito presso gli uffici, perché l’utilizzo di tale mezzo informatico – ai sensi dell’art. 16, comma 4, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 – è riservato alla sola cancelleria per le comunicazioni richieste dal Pubblico ministero ex art. 151 cod. proc. pen. e per le notificazioni ai difensori disposte dall’autorità giudiziaria (Sez. 4, n. 21056 del 23/01/2018, D’Angelo, Rv. 272741; Sez. 6, n. 41283 del 11/09/2019, Di Nolfo, Rv. 277369). E’ stato infatti chiarito che la previsione dell’art. 64 disp. att. cod. proc. pen., che consente il ricorso ai mezzi idonei di cui agli artt. 149 e 150 cod. proc. pen., tra i quali la PEC, riguarda unicamente la comunicazione degli atti del giudice e non la trasmissione di un atto di parte, quale l’impugnazione. Né vale il richiamo all’art. 2, comma 6, d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68 (“Codice digitale”), il quale presuppone l’operatività del cd. processo telematico, non ancora realizzato per l’ambito penale: sicché risulta erroneo ipotizzare l’applicazione generalizzata di talune delle norme – ad esempio l’art. 7, comma 10, D. Lgs. n. 159 del 2011 – che presuppongono la cornice di un processo organizzato in base agli strumenti digitali. In mancanza del fascicolo telematico, le istanze e i documenti inviati non vengono automaticamente inseriti nel fascicolo processuale. A tal fine occorrerebbe che l’indirizzo di posta elettronica fosse presidiato mediante la destinazione di apposito personale costantemente dedito a controllare l’arrivo dei messaggi e a portare l’atto a conoscenza del giudice competente. Pertanto, considerata l’inesistenza nel procedimento penale di un fascicolo telematico, quale strumento di ricezione e raccolta in tempo reale degli atti del processo, accessibile e consultabile da tutte le parti, l’uso del mezzo informatico in discorso per la trasmissione di atti endoprocessuali è consentito nei soli casi espressamente previsti dalla legge.

1.3. A differenza di quanto previsto per la presentazione della richiesta di riesame, ai sensi dell’art. 311, comma 3, cod. proc. pen. il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame in materia cautelare personale deve essere depositato esclusivamente presso la cancelleria del giudice che ha emesso la decisione, nel termine di dieci giorni previsto dalla legge. Le specifiche modalità fissate dall’art. 311, comma 3, cod. proc. pen. per la presentazione del ricorso per cassazione costituiscono una deroga alle norme che regolano in via generale la presentazione dell’impugnazione, e secondo un risalente e consolidato principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 6, n. 3539 del 06/12/1990, Messora, Rv. 187018; Sez. 6, n. 29477 del 23/03/2017, Pm in proc. Di Giorgi e altri, Rv. 270559) il ricorso per cassazione avverso la decisione del Tribunale della libertà deve essere presentato nella cancelleria dello stesso Tribunale, con esclusione, anche per la parte pubblica, di qualsiasi soluzione alternativa. È stato infatti osservato che le modalità di presentazione dell’impugnazione sono rimesse alla discrezionalità del legislatore, e per quanto concerne il ricorso per cassazione, esse sono stabilite in via esclusiva dall’art. 311, comma 3, cod. proc. pen., perseguendo la finalità di favorire la massima celerità nell’avvio del giudizio di impugnazione, in quanto il giudice che ha emesso il provvedimento apprende immediatamente dell’impugnazione e può con prontezza provvedere agli adempimenti di cui all’art. 164 disp. att. cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 4096 del 10/12/2019, dep. 2020, Condipodero, Rv. 279031). Tale approdo, peraltro, è attualmente sottoposto al vaglio delle Sezioni Unite di questa Corte, che dovranno stabilire se sia applicabile la regola generale dell’art. 583 cod. proc. pen. anche al ricorso ex art. 311 cod. proc. pen.

1.4. In termini generali, in materia di impugnazioni è pacifica l’affermazione dell’inammissibilità dell’impugnazione proposta a mezzo PEC dalla parte, sul rilievo che le modalità di presentazione e di spedizione dell’impugnazione, queste ultime disciplinate dall’art. 583 cod. proc. pen., sono tassative ed inderogabili e nessuna norma prevede la trasmissione mediante l’uso della PEC. Affermazioni in tal senso si rinvengono relativamente all’impugnazione proposta avverso decreto penale di condanna (Sez. 4, n. 21056 del 23/01/2018, D’Angelo, Rv. 272741), per il ricorso per cassazione proposto avverso il provvedimento di revoca di ammissione al gratuito patrocinio (Sez. 4, n. 18823 del 30/03/2016, Mandato, Rv. 266931), per l’impugnazione proposta dal pubblico ministero avverso decisione cautelare (Sez. 1, n. 2020 del 15/11/2019, dep. 2020, Turturo, Rv. 278163) e, più in generale, per la proposizione di ricorso per cassazione (Sez. 6, n. 55444 del 05/12/2017, C, Rv. 271677, in tema di mandato di arresto europeo), per la presentazione di motivi nuovi nel giudizio in cassazione (Sez. 5, n. 12347 del 13/12/2017, dep. 2018, Gallo, Rv. 272781) e in materia di restituzione nel termine per impugnare (Sez. 1, n. 320 del 05/11/2018, dep. 2019, Stojanovic, Rv. 274759). Il principio comune a tutte le indicate pronunce è nel senso che le modalità di presentazione e di spedizione dell’impugnazione, disciplinate dall’art. 583 cod. proc. pen. — esplicitamente indicato dall’art. 309, comma quarto, a sua volta richiamato dall’art. 310, comma secondo, cod. proc. pen. — sono tassative e non ammettono equipollenti, stabilendo soltanto la possibilità di spedizione dell’atto mediante lettera raccomandata o telegramma ex art. 583, comma 1, cod. proc. pen., al fine di garantire l’autenticità della provenienza e la ricezione dell’atto, mentre nessuna norma prevede la trasmissione mediante l’uso della PEC.

1.5. Tale approdo, come si anticipava all’inizio, non è stato superato dalla legislazione emanata per fronteggiare l’emergenza sanitaria in atto. Invero, i commi 14 e 15 dell’art. 83 del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020, come convertito dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, confermano che le comunicazioni e le notificazioni agli imputati e alle altre parti degli avvisi e dei provvedimenti adottati nei procedimenti penali ai sensi dell’art. 83 sono eseguite mediante invio all’indirizzo di posta elettronica certificata di sistema del difensore di fiducia, ferme restando le notifiche che per legge si effettuano presso il difensore d’ufficio (comma 14). E ancora, si dispone che tutti gli uffici giudiziari sono autorizzati all’utilizzo del Sistema di notificazioni e comunicazioni telematiche penali per le comunicazioni e le notificazioni di avvisi e provvedimenti indicati ai commi 13 e 14, senza necessità di ulteriore verifica o accertamento di cui all’articolo 16, comma 10, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 (comma 15). Dunque, tale legislazione emergenziale ha stabilito che comunicazioni e avvisi provenienti dalle cancellerie penali e diretti alle parti si eseguano via PEC, mentre nulla è stato previsto per il deposito delle impugnazioni penali da parte dei soggetti legittimati, tanto meno di quelle cautelari, da ciò dovendosi intendere – in base al principio generale “ubi /ex voluit, dixit” – che in tale settore resta immutata la situazione sopra descritta. 1.6. Nessuna possibilità di recuperare la validità dell’atto di impugnazione così depositato deriva dai provvedimenti organizzativi emanati per fronteggiare l’emergenza sanitaria in atto dal Presidente della Corte di appello di Catania e dal Presidente del Tribunale di Catania, acquisiti da questa Corte. A prescindere dal rilievo di ordine generale che nessuna efficacia derogatoria della richiamata disciplina legislativa potrebbe riconoscersi ad un provvedimento organizzativo, si evidenzia che in nessuna parte di tali provvedimenti è stato autorizzato il deposito delle impugnazioni a mezzo di posta elettronica certificata. Al contrario, nel provvedimento organizzativo del Presidente del Tribunale in data 8 maggio 2020, alla pagina 2 nel paragrafo intitolato “Settore Penale”, si prescrive: «L’accesso alle cancellerie è limitato alle richieste di visionare atti relativi a procedimenti ritenuti urgenti ai sensi dell’art. 2, secondo comma, del D.L. n. 11/2020, non autonomamente consultabili, come sopra indicati, nonché alle impugnazioni in scadenza nei quattordici giorni successivi al contatto telefonico o con mail, sempre previo appuntamento da richiedere e confermare come sopra specificato». Dunque, è stata espressamente regolamentata la necessità di accedere alle cancellerie per depositare le impugnazioni, prevedendosi a tal fine un previo appuntamento da richiedere via mail o per telefono (agli indirizzi mail ed ai numeri telefonici già comunicati e pubblicati sul sito web dell’Ufficio) e confermata dalla cancelleria con invio al richiedente, via mali, di una comunicazione che indicherà la data e l’ora della fascia oraria di appuntamento.

2. Il ricorso dell’avv. omissis è stato depositato nella cancelleria del Tribunale di Cagliari il 1°/6/2020 e con PEC del 5/6/2020 il difensore ha dato avviso di tale deposito alla cancelleria del Tribunale di Catania. Il ricorso è stato poi inviato al Tribunale di Catania a mezzo lettera raccomandata.

2.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte l’impugnazione, pur non proposta presso la cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, è ammissibile purché pervenga nei termini di legge presso la cancelleria del giudice competente a riceverla (Sez. 6, n. 29477 del 23/03/2017, Pm in proc. Di Giorgi e altri, Rv. 270559; Sez. 1, n. 6912 del 14/10/2011, dep. 2012, Rv. 252072). Pertanto, si affrontano di seguito i temi sollevati nel ricorso di tale difensore.

2.2. Il censurato vizio argomentativo, incidente sulla presunzione di attualità e concretezza del pericolo di reiterazione del reato, si anniderebbe nell’estrema lontananza temporale del delitto e nell’omessa indicazione di circostanze idonee a dimostrare che il omissis – seppure in stato di detenzione a pena perpetua – abbia continuato a gravitare nell’ambiente mafioso di riferimento, “Cosa Nostra”, negli anni successivi al 2010, atteso anche il ruolo non chiaro da questi ricoperto in detta associazione mafiosa. Inoltre si è contestata l’esclusione immotivata della rilevanza della contemporanea espiazione da parte del omissis della pena dell’ergastolo cosiddetto ostativo.

2.3. Tali doglianze sono manifestamente infondate. Invero, il Tribunale del riesame si è espresso diffusamente sull’indicato profilo, operando non soltanto un richiamo alla presunzione di pericolosità sociale e all’adeguatezza ex legedella cautela inframuraria, confermate dall’assenza di elementi fattuali a smentita di tali presunzioni, ma indicando altresì congrui rilievi – sotto il profilo oggettivo e soggettivo – di conferma dell’individuata esigenza cautelare. In particolare, si è evidenziato che il omissis è stato condannato con sentenze irrevocabili per partecipazione ad associazione mafiosa fino al 1993, nonché fino al 2010 – quindi per un periodo che oltrepassa l’epoca di commissione dell’omicidio in esame, risalente al 1992 – nonché per quattro omicidi, estorsioni e sequestro di persona, anche aggravati dal metodo e dalla finalità di agevolare l’associazione mafiosa. La pretesa del ricorrente che la persistente partecipazione associativa dell’indagato sia positivamente acclarata da condanne definitive è fuorviante, in quanto le associazioni mafiose storiche o comunque caratterizzate da particolare stabilità, come “cosa nostra”, rendono necessaria la dimostrazione del recesso dell’indagato dalla consorteria o l’esaurimento dell’attività associativa, non rilevando, ai fini dell’attualità delle esigenze cautelari, la distanza temporale tra l’applicazione della misura ed i fatti contestati (Sez. 5, n. 36389 del 15/7/2019, Forgetti, Rv. 276905), mentre il cd. “tempo silente” – ossia il decorso di un tempo considerevole tra l’emissione della misura e i fatti contestati – può essere valutato solo in via residuale, facendo stretto riferimento alla natura non stabile dell’asso- ciazione e alla sua scarsa forza attrattiva e intimidatrice. Il costante stato di restrizione non potrebbe elidere tali pregnanti indicazioni, né il rilievo della sottoposizione ad ergastolo ostativo è conducente in senso favorevole all’indagato, in virtù del principio di autonomia dei titoli detentivi, illustrato in plurime sentenze di questa Corte di legittimità, di cui l’ordinanza impugnata ha fatto corretta applicazione. Invero, in tema di misure restrittive della libertà, non incide sulla valutazione di sussistenza delle esigenze cautelari, al momento dell’assunzione del provvedimento di custodia per reato associativo di stampo mafioso, la eventuale detenzione dell’indagato già in atto, a diverso titolo, in quanto soggetta ad autonome vicende, cui non è connessa la ragione di cautela imposta dall’art. 275 comma 3, cod. proc. pen.; in particolare è configurabile quella rappresentata dal pericolo di reiterazione della condotta criminosa, anche successivamente alla novella di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47 che espressamente richiede il requisito dell’attualità del pericolo (Sez. 5, n. 28750 del 10/04/2017, Perskura, Rv. 270535). Tale principio è stato recentemente ribadito da questa Corte, che ha affermato che lo stato di detenzione per altra causa del destinatario di una misura coercitiva custodiale (nella specie in virtù di una condanna definitiva per delitto ostativo c.d. di prima fascia) non è di per sé in contrasto con la configurabilità di esigenze cautelari, ed in particolare di quella rappresentata dal pericolo di reiterazione della condotta criminosa, atteso che nel vigente ordinamento penitenziario non vi sono titoli o condizioni detentive assolutamente ostativi alla possibilità di riacquistare, anche per brevi periodi, la condizione di libertà (Sez. 1, n. 3762 del 04/10/2019, dep. 2020, Bastone, Rv. 278498).

3. Pertanto, entrambi i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili – restando impregiudicata la possibilità di reiterare le questioni proposte nel ricorso dichiarato irrituale con il rimedio dell’art. 299 cod. proc. pen. – con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della congrua somma indicata in dispositivo alla cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., non risultando l’assenza di profili di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità, a tenore della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000….

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.