Concetto mala fede processuale
Pubblico, di seguito, un’interessante pronuncia resa dalla Suprema Corte in tema d’interpretazione dell’art. 96, comma 3° c.p.c. – rubrica Responsabilità aggravata –
Sulla premessa che: “L’art. 96 comma 3 c.p.c. (“In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’art. 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”) indubbiamente presuppone il requisito della mala fede o della colpa grave, non solo perché è inserito in un articolo destinato a disciplinare la responsabilità aggravata, ma anche perché agire in giudizio per far valere una pretesa che alla fine si rileva infondata non costituisce condotta di per sé rimproverabile!”,
afferma, di conseguenza, i seguenti principi:
– MALA FEDE PROCESSUALE: tale è “la condotta di chi si rivolge all’autorità giudiziaria fondando la propria opposizione esclusivamente sulla negazione di un fatto che sa essere vero e avvalendosi di una diversa apparenza ufficiale che egli stesso ha contribuito a creare non modificando la residenza formale“;
– LIQUIDAZIONE DELLA SOMMA DOVUTA PER AVER AGITO IN MALA FEDE: valido il criterio equitativo utilizzato dal Giudice in un importo corrispondente al triplo di quanto liquidato per diritti ed on orari; si afferma, infatti: “il metodo della liquidazione della somma dovuta per avere agito in mala fede, è esattamente indicato nella sentenza impugnata e consiste nella determinazione della somma, secondo un criterio equitativo, in un importo corrispondente al triplo di quanto liquidato per diritti e onorari; tale importo certamente non eccede il limite della ragionevolezza, tenuto conto che, in termini assoluti, corrisponde alla somma di Euro 2.250,00, ossia non rilevante al punto tale da potere essere considerato irragionevole, tenuto anche conto (e con riferimento al moltiplicatore applicato) che lo stesso legislatore al terzo comma dell’art. 385 c.p.c. (ora abrogato dalla legge n. 69/2009, mentre il nuovo art. 96 comma 3 c.p.c., non ha fissato limiti né minimi ne massimi) aveva previsto la possibilità di una condanna al doppio dei massimi tariffari”.
Di seguito la pronuncia in forma integrale Continua a leggere