- In particolare: la responsabilità dell’ ente ex d.lgs.231/2001
Da più parti si è evidenziato come la pandemia in corso abbia determinato, oltre al primario e più evidente rischio per la salute, l’ insorgenza del rischio di commissione di reati di natura diversa rispetto a quelli immediatamente incidenti sulla vita e la salute, rispetto ai quali tuttavia l’evento pandemico e soprattutto le conseguenze dello stesso sul tessuto economico e sociale possono costituire nuova occasione di realizzazione.
Il punto di vista preso in considerazione è il riverberarsi di tale situazione sulla responsabilità da reato degli enti, come prevista dal d.lgs.231/2001.
L’attuale pandemia – condizione certamente inedita e imprevedibile con riferimento ai modelli organizzativi adottati antecedentemente al suo manifestarsi – è in grado di incidere anche sulla particolare forma di responsabilità che il decreto 231 pone a carico degli enti, potendosi appunto verificare occasioni di commissione di reati difficilmente immaginabili al momento dell’ adozione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo, ovvero determinandosi, in forza del presente e mutato stato di cose, un aumentato rischio di commissione degli stessi rispetto a quanto valutato in sede di redazione del modello.
Diversi i rischi che costituiscono conseguenza “indiretta” dell’evento pandemico e che possono tuttavia ragionevolmente rappresentarsi: il rischio di commissione dei reati di indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato, ovvero di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, ovvero ancora di truffa, anche informatica, in danno dello Stato ( reati presupposto di cui all’ art. 24 d. lgs. 231/2001), in relazione all’ accesso ad ammortizzatori sociali, finanziamenti agevolati ovvero altre forme di sostegno pubblico all’ economia e alle imprese disposte in conseguenza dell’ emergenza sanitaria; l’ impiego di tali strumenti potrebbe peraltro essere fonte di responsabilità in relazione ai tipici reati contro la pubblica amministrazione di cui all’ art. 25. Sempre nella prospettiva dell’ accesso a forme di finanziamento o agevolazioni pubbliche potrebbe rappresentarsi un’ occasione ulteriore di commissione dei reati tributari, da ultimo inseriti tra i reati presupposto dall’ art. 25 quinquiesdecies del decreto 231/2001.
Così pure si è rappresentata la possibile responsabilità ( risultano già in corso indagini per ipotesi di tale natura ) per i reati di cui all’ art. 25 bis e 25 bis.1, con particolare riferimento alle ipotesi di contraffazione e di frode in commercio ovvero di vendita di prodotti con segni mendaci, la cui commissione potrebbe conseguire alla improvvisa o aumentata difficoltà di reperimento sul mercato di determinate categorie di prodotti, correlata ad un notevole aumento della richiesta.
Anche se apparentemente meno rilevanti per le caratteristiche intrinseche delle ipotesi di reato presupposto prese in considerazione, si sono paventati anche maggiori rischi di commissione dei reati informatici di cui all’ art. 25 bis.
Le concrete difficoltà per la continuità e la liquidità cui molte imprese sono esposte ha fatto altresì ravvisare il rischio di infiltrazioni criminose, con conseguente aumento del rischio di commissione dei reati di criminalità organizzata di cui all’ art. 24 ter e di ricettazione e riciclaggio di cui all’ art. 25 octies.
Da ultimo, pare effettivamente rappresentabile anche una minaccia per la veridicità e correttezza dell’ informazione societaria, con conseguente rischio di realizzazione delle ipotesi di reato di cui all’ art. 25 ter per tutte le società, e di cui all’ art. 25 sexies per quelle quotate.
Rispetto a tali ipotesi si osserva che un modello organizzativo ben progettato dovrebbe essere in grado di fronteggiare anche la presente emergenza, con tutte le conseguenze che a cascata ne derivano anche in termini di rischio penale; certo è che di fondamentale importanza appare, allo stato, l’intervento e la continuità di azione dell’ Organismo di Vigilanza che, soprattutto nella presente situazione, deve costituire valido supporto alle società al fine di valutare l’ adeguatezza delle misure adottate, l’eventuale necessità di ulteriori e maggiormente specifiche, anche in considerazione dell’ evolversi della situazione pandemica nonché della normativa di riferimento, e, infine, la perdurante adeguatezza del Modello adottato, ovvero la necessità di aggiornare lo stesso o specifiche sezioni del medesimo in considerazione delle mutate condizioni di rischio.
Si intende in questo scritto focalizzarsi in particolar modo sulle previsioni di cui all’ art. 25 septies del decreto, in ragione della priorità da riconoscersi comunque alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, soprattutto in una fase in cui ci si approssima alla riapertura di diverse attività rimaste sospese a causa dei provvedimenti adottati dal Governo ( in particolare, il DPCM 22 marzo 2020 ), mentre altre sono già tornate parzialmente operative – salvo quelle la cui operatività non è mai cessata.
Va innanzitutto ricordato che la citata disposizione del d.lgs. 231/2001 ha introdotto la responsabilità dell’ente per i fatti di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, se commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro.
In particolare, l’ omicidio colposo ( art. 589 c.p.) è punito per l’ente con maggiore severità se commesso con violazione dell’ art. 55 comma 2 d.lgs.81/2008.
Tale ultima norma sanziona la violazione dell’ obbligo di procedere alla valutazione dei rischi con elaborazione del relativo documento, se commessa nell’ ambito di alcune tipologie di aziende o di attività specificamente indicate, connotate da un elevato grado di pericolosità.
Sanzioni pecuniarie di minore gravità sono previste, rispettivamente, per l’ omicidio colposo e le lesioni personali colpose gravi o gravissime, se commessi , genericamente, “con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro”.
In tutti i casi in cui sia riconosciuta la responsabilità dell’ ente è inoltre prevista l’ applicazione di sanzioni interdittive oltre a quelle pecuniarie.
Circa l’applicabilità a tale categoria di reati dei criteri di imputazione oggettiva dell’ interesse o vantaggio per l’ ente di cui all’art. 5 del decreto 231, la giurisprudenza ha da tempo chiarito che essi sono innanzitutto alternativi – e non necessariamente concorrenti tra loro- ,che vanno riferiti non all’ evento lesivo, ma alla condotta dell’ agente, e sono ravvisabili, il primo ( avente carattere soggettivo, e valutabile ex ante ) allorchè la violazione della regola cautelare sia avvenuta con il consapevole intento di conseguire un’ utilità per l’ ente ( spesso configurabile come un risparmio di spesa in relazione ad aspetti diversi, quali quelli relativi ai costi di consulenza, agli interventi strumentali, all’ attività di informazione e formazione dei lavoratori, alla velocizzazione dei tempi di manutenzione, e così via) , anche indipendentemente dall’ effettivo raggiungimento di tale obiettivo, e il secondo (di carattere oggettivo e apprezzabile ex post ) , allorchè la violazione di regole antinfortunistiche abbia comunque concretizzato un qualche vantaggio per l’ ente ( sotto forma, ancora una volta, di un risparmio di costi, ovvero di un aumento di produttività o riduzione dei tempi di lavorazione), anche indipendentemente dal perseguimento di tale finalità.
Il tutto, peraltro, con la precisazione per cui tali requisiti non possono coincidere – e non ne può quindi scaturire una responsabilità dell’ ente, a differenza di quella della persona fisica – con una semplice sottovalutazione dei rischi ovvero una insufficiente considerazione delle misure di prevenzione necessarie; viceversa, la responsabilità dell’ ente deriva proprio dal riconoscimento del perseguimento di una politica di impresa non attenta alla materia della sicurezza del lavoro, ma piuttosto al contenimento dei costi e conseguente massimizzazione del profitto ( così, tra le varie ,Cass. pen, SS.UU. Espenhan , n. 38343/2014; sez. IV, Gastoldi,n. 2544/2016; sez. IV, Consorzio Melinda, n. 38363/2018; sez. IV, n. 43656/2019).
Se, da un lato, l’ introduzione nel catalogo dei reati presupposto dei reati colposi commessi con violazione delle norme sulla salute e sicurezza sul lavoro ( e modifica dell’ art. 25 septies d.lgs. 231/2001 da parte dell’ art. 300 d.lgs. 81/2008 )ha dato luogo ad un ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale circa la compatibilità di tali reati colposi di evento con la particolare forma di responsabilità disegnata dal d.lgs. 231/2001 a carico dell’ ente, va dall’ altro evidenziato che il d.lgs. 81/2008 contiene, da parte sua, numerosi e specifici riferimenti proprio ai modelli di organizzazione quali definiti dal decreto 231, nonché una individuazione del contenuto dei modelli idonei alla prevenzione dei reati in questione maggiormente dettagliata di quella contenuta nello stesso decreto 231/2001.
Si tratta quindi di discipline che – risolte come sopra detto le questioni relative ai criteri oggettivi di imputazione dell’ ente – possono, o meglio debbono, armonizzarsi e completarsi tra loro, in quanto, proprio nella specifica e fondamentale materia della salute e sicurezza sul lavoro, il modello di organizzazione, che l’ art. 6 del decreto 231 disciplina prescrivendo una serie di requisiti che debbono poi essere declinati, nella pratica e nella specifica situazione, in base alle concrete caratteristiche della singola organizzazione che lo adotta, trova una più dettagliata indicazione di contenuti .
Il d.lgs. 81/2008 menziona il modello di organizzazione già nella parte definitoria, e precisamente all’ art. 2, lett. dd), qualificandolo quale “modello organizzativo e gestionale per la definizione e l’attuazione di una politica aziendale per la salute e la sicurezza, ai sensi dell’ art. 6 comma 1 lett. a) del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, idoneo a prevenire i reati di cui agli articoli 589 e 590, terzo comma, del codice penale, commessi con violazione delle norme antiinfortunistiche e sulla tutela della salute sul lavoro”.
A differenza di tutte le altre categorie di reati presupposto, in questo caso è la stessa normativa prevenzionistica, il T.U. in materia di salute e sicurezza sul lavoro, a dare precise indicazioni su come riempire di contenuti il modello di organizzazione delinato, nelle sue caratteristiche generali, dall’ art. 6 d.lgs. 231/2001.
Infatti, l’ art. 30 del d.lgs.81/2008, in parte anche impiegando espressioni direttamente mutuate dalla citata norma del decreto 231, precisa che il modello idoneo ad avere efficacia esimente della responsabilità amministrativa dell’ ente deve essere adottato ed efficacemente attuato, “assicurando un sistema aziendale per l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi:
a ) al rispetto degli standard tecnico strutturali di legge relativi a attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici;
- b) alle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti;
- c) alle attività di natura organizzativa, quali emergenze, primo soccorso, gestione degli appalti, riunioni periodiche di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;
d ) alle attività di sorveglianza sanitaria;
- e) alle attività di informazione e formazione dei lavoratori;
f ) alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori;
g ) alla acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie di legge;
- h) alle periodiche verifiche dell’ applicazione e dell’ efficacia delle procedure adottate”.
Il comma 2 del citato articolo 30 stabilisce che il modello organizzativo deve prevedere idonei sistemi di registrazione dell’ avvenuta effettuazione delle attività sopra citate.
Inoltre il modello, ai sensi del comma 3 dell’ art. 30, deve prevedere, in proporzione alla natura e dimensioni dell’ attività, un’articolazione di funzioni che assicuri le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio, nonché un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
Da ultimo, il comma 4 dell’ art. 30 stabilisce che il modello debba altresì prevedere “un idoneo sistema di controllo sull’ attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate”, precisando inoltre che si debba procedere al riesame ed eventuale modifica dello stesso qualora siano scoperte violazioni significative delle norme prevenzionali, ovvero in occasione di mutamenti nell’ organizzazione e nell’ attività in relazione al progresso scientifico e tecnologico.
Pertanto, il modello organizzativo idoneo a svolgere efficacia preventiva rispetto ai reati in materia di salute e sicurezza sul lavoro, così come quello definito in termini generali dal d.lgs. 231/2001, art. 6, deve prevedere un sistema disciplinare per la sanzione delle relative violazioni ; è peraltro particolarmente marcata l’ enfasi posta sulle attività di vigilanza e di verifica ( si vedano le lettere f) e h ) del comma 1 dell’ art. 30, così come anche il comma 3 dello stesso articolo ).
In particolare, la previsione del comma 4, che pone quale requisito di idoneità del modello l’ esistenza di un efficace sistema di controllo sulla effettiva attuazione del modello medesimo e sulla persistente adeguatezza delle misure dallo stesso previste, rimanda evidentemente alla istituzione e alle funzioni dell’ Organismo di Vigilanza, come disciplinato dal d.lgs. 231/2001.
E’ pertanto possibile affermare che, nella specifica materia, il modello organizzativo – e l’ apparato di vigilanza che ne deve conseguire- assume una rilevanza centrale, ed appare concepito come una sorta di controllo di secondo livello sulla effettività ed efficacia della complessiva organizzazione adottata a fini prevenzionistici.
L’ adozione del modello organizzativo è, ad oggi, salvo alcuni casi particolari ( richiesta di quotazione in borsa in specifici segmenti, contrattazioni o convenzioni con alcune Regioni) e salvi i progetti di riforma presentati, una facoltà e non un obbligo per l’ente.
Tuttavia, nella materia della sicurezza sul lavoro, se pure l’ adozione di un modello che sia conforme alle prescrizioni di cui all’ art. 30 d.lgs. 81/2008 rimane, ad oggi, una facoltà e non un obbligo, è tuttavia certamente dovere del datore di lavoro, sanzionato anche penalmente, quello di dotarsi di una struttura organizzativa, che sia naturalmente proporzionata alla tipologia e all’ entità dell’ attività svolta, idonea a neutralizzare, o meglio, a minimizzare i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, tramite la realizzazione di tutte le diverse tipologie di valutazioni e interventi che il T.U. prescrive.
Fatta tale doverosa premessa, deve peraltro ricordarsi che la responsabilità ex d.lgs. 231/2001 non può essere, innanzitutto, ravvisata quale responsabilità per mancata adozione del modello.
Neppure la responsabilità dell’ ente è costruita come una forma di responsabilità oggettiva, automaticamente conseguente al verificarsi di un fatto di reato.
Infatti, la responsabilità dell’ ente non deriva automaticamente dalla riconosciuta sussistenza del fatto di reato ( anche indipendentemente da una pronuncia di penale responsabilità dell’ autore dello stesso, come nei casi in cui questi sia non imputabile, ovvero non sia stato identificato, ovvero ancora nel caso in cui si sia compiuta nei suoi confronti la prescrizione), ma, oltre a presupporre i criteri, sopra citati, dell’ interesse o vantaggio per l’ente stesso, richiede pur sempre una forma di colpevolezza da ravvisarsi, innanzitutto, nella “appartenenza” della condotta all’ ente medesimo, e, quindi, nella sussistenza della cd. “colpa di organizzazione”.
Non si tratta, quindi, di una responsabilità per fatto altrui, ma di una responsabilità per fatto proprio colpevole, ovvero per non essersi saputo adeguatamente organizzare in modo da prevenire il verificarsi dei fatti di reato o comunque da minimizzarne il rischio di realizzazione.
Peraltro, anche la eventuale mancata adozione del modello – stante la sua attuale non obbligatorietà – non fa certo venir meno le facoltà difensive dell’ ente, dovendo comunque sempre soccorrere i criteri dell’ interesse o vantaggio, nonché, pur nei diversi profili di responsabilità della persona giuridica rispetto a quelli della persona fisica, ogni rilievo in ordine alla sussistenza del fatto di reato e alla sua penale rilevanza.
Sul punto dell’accertamento giudiziale della responsabilità dell’ ente, il giudice, se investito della relativa questione, dovrà, innanzitutto, accertare l’ esistenza di un modello ex d.lgs. 231/2001; in tal caso, dovrà poi verificare che questo sia conforme alle prescrizioni normative, ed, infine, che sia stato efficacemente attuato nell’ ottica prevenzionistica ( così Cass.pen. sez. IV, n. 43656/19), anche sotto l’ aspetto dell’adeguatezza delle misure previste nonché della formazione dei dipendenti ( cfr. Cass.pen. sez. IV, n. 23625/19) nonché sotto l’ aspetto dell’ adeguata vigilanza, da parte del competente organismo, in relazione ai rischi esistenti, sulla effettiva applicazione del modello stesso (Cass. pen. sez. IV, n. 28538/19).
Pertanto, qualora l’ente intenda adottare il modello, con specifico riferimento alla materia della sicurezza sul lavoro dovrà aver ben presenti le prescrizioni contenute nell’ articolo 30 d.lgs. 81/2008, e dovrà programmare e articolare la propria organizzazione in modo da creare un sistema integrato di prevenzione del rischio infortunistico, di cui modello organizzativo e DVR costituiscono parte integrante e fondamentale.
Per concludere e tornare quindi all’ occasione ispiratrice di questo scritto, ovvero l’evento pandemico, ancora una volta si ritiene opportuno riportare l’ attenzione sul contenuto del DVR, da considerarsi, nell’ ambito del “sottosistema” della sicurezza del lavoro, in qualche modo parte integrante del modello stesso, e sulla fondamentale, e preliminare rispetto a qualsiasi intervento, valutazione del rischio che in esso va svolta, nonché sulla adozione ed effettiva – e, altresì, verificata e documentata – applicazione di adeguati protocolli preventivi.
( avv. Chiara Tebano )