Covid 19 e sicurezza sul lavoro: l’ impatto dell’ evento pandemico sulle responsabilità penali, personali e “di impresa” ai sensi del d.lgs.231/2001
- La responsabilità penale personale del datore di lavoro e del RSPP.
- L’ individuazione del datore di lavoro penalmente responsabile.
- La responsabilità dell’ ente ex d.lgs.231/2001
1.In particolare : la responsabilità penale personale del datore di lavoro e del RSPP.
La giurisprudenza penale ravvisa nella disposizione generale di cui all’ art. 2087 c.c. e in quelle più specifiche previste dalle norme antiinfortunistiche il fondamento della posizione di garanzia del datore di lavoro ( ovvero dei suoi delegati ); in forza di tali norme questi è costituito garante dell’ incolumità fisica e della personalità morale dei lavoratori. Ne deriva che, qualora non attemperi agli obblighi di tutela, l’ evento lesivo gli viene imputato ai sensi dell’ art. 40 comma 2 c.p., ovvero per omesso impedimento di un evento che si ha l’obbligo giuridico di evitare.
Con specifico riferimento al rischio per la salute negli ambienti di lavoro rappresentato dall’ evento pandemico, sono intervenute, nell’ ambito della decretazione d’urgenza, alcune indicazioni normative di cui è necessario tenere conto.
Dapprima, l’ art. 42 comma 2 d.l. 18 del 17/3/2020 – cd. Cura Italia, convertito in l. n. 27 del 24/2/2020- ha avuto modo di precisare che l’infezione accertata da coronavirus “in occasione di lavoro” è trattata alla stregua di un infortunio sul lavoro per ciò che concerne le tutele Inail. Tale impostazione è stata confermata dalla circolare Inail n. 13 del 3/4/2020, la quale a sua volta precisa come l’istituto previdenziale tuteli le affezioni infettive inquadrandole quali infortuni sul lavoro, ed equiparando quindi la cd. causa virulenta a quella violenta.
Pertanto – precisa espressamente la citata circolare – anche l’ infezione da Covid 19 occorsa a qualsiasi soggetto assicurato Inail è considerata quale infortunio sul lavoro.
Deve peraltro evidenziarsi che l’ espressione “occasione di lavoro” impiegata nella disposizione sopra citata risulta essere stata sinora interpretata dalla giurisprudenza della Cassazione civile- sez. lavoro in modo particolarmente ampio.
Si è affermato, infatti, ai fini dell’ indennizzabilità da parte di Inail, che il sinistro “non può essere circoscritto nei limiti dell’ evento di esclusiva derivazione eziologica materiale della lavorazione specifica espletata dall’ assicurato, ma va riferito ad ogni accadimento infortunistico che all’ occasione di lavoro sia ascrivibile in concreto, pur se astrattamente possibile in danno di ogni comune soggetto, in quanto configurabile anche al di fuori dell’ attività lavorativa tutelata ed afferente ai normali rischi della vita quotidiana privata”; così pure, si è affermata l’ indennizzabilità del sinistro occorso anche “nell’ ipotesi di rischio improprio, non intrinsecamente connesso, cioè, allo svolgimento delle mansioni tipiche del lavoro svolto dal dipendente, ma insito in un’ attività prodromica e strumentale allo svolgimento delle suddette mansioni e, comunque, ricollegabile a soddisfacimento di esigenze lavorative”; ancora, si è precisato che la nozione di “occasione di lavoro” “implica la rilevanza di ogni esposizione a rischio ricollegabile allo svolgimento dell’ attività lavorativa in modo diretto o indiretto ( con il limite del cd. rischio elettivo)”. Così, tra le varie, Cass.civ. sez. lavoro n.8597/2016; 9913/2016; 14287/2004; n. 16417/2005.
Stanti tali criteri di valutazione pare del tutto coerente, allora, la espressamente prevista indennizzabilità Inail dell’ infezione da Covid 19 avvenuta in occasione di lavoro.
Ma quale riflesso tale espressa previsione normativa può avere sulla configurabilità di una responsabilità penale del datore di lavoro ?
La questione comporta alcune riflessioni.
Innanzitutto, non è inutile ricordare la non perfetta sovrapponibilità tra le categorie impiegate dalle sezioni lavoro della Cassazione civile per identificare il sinistro occorso sul lavoro indennizzabile a fini Inail e quelle penalistiche da applicarsi alle ipotesi di lesioni colpose o omicidio colposo verificatesi nell’ ambito dell’attività lavorativa, rispetto alle quali appaiano ravvisabili profili di colpa generica o specifica a carico del datore di lavoro, ovvero ( anche ) dei suoi delegati, dirigenti, preposti, consulenti.
Inoltre, sotto l’ aspetto probatorio, può sin da ora affermarsi come appaia particolarmente complesso raggiungere la prova della circostanza per cui l’ eventuale infezione sia stata contratta in occasione del lavoro ( quanto alla sua indennizzabilità) ovvero ( quanto alla sua penale rilevanza) nell’ ambiente di lavoro o comunque in connessione causale con l’ attività lavorativa.
Dall’ altro lato tuttavia non appare dubitabile che il fatto stesso – sia per quanto concerne le attività che hanno continuato ad operare anche durante il cd. lockdown, che per quelle che stanno riprendendo o riprenderanno l’ operatività nel prossimo futuro – di spostarsi per recarsi al lavoro, ovvero di operare a contatto con altri lavoratori ovvero con il pubblico, sia fonte di una esposizione a rischio diversa e maggiore di quella cui è esposto ogni cittadino nella propria vita privata, non fosse altro che per il maggiore numero di contatti sociali che l’attività lavorativa comporta.
Tale circostanza di fatto, del resto, è già stata oggetto di valutazione da parte del Governo, che infatti ha adottato, di concerto con le parti sociali, un primo protocollo condiviso per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus negli ambienti di lavoro in data 14/3/2020; protocollo poi aggiornato in data 24/4/2020.
Da ultimo, il protocollo così aggiornato è stato unito, quale allegato 6, al DPCM 26/4/2020; ulteriori specificazioni sono contenute nei protocolli redatti, rispettivamente, per il settore dei cantieri e per quello del trasporto e della logistica, pure uniti, quali allegati 7 e 8, al citato DPCM.
Non vi è dubbio che il rispetto delle misure contenute nei citati protocolli debba essere declinato caso per caso nell’ ambito delle singole unità lavorative e produttive, in considerazione della specificità di ciascuna di esse; altrettanto indubbio è il fatto che, soprattutto in alcune circostanze, l’ adeguamento comporterà non solo la necessità di fornire ai lavorativi dispositivi di protezione personale quali mascherine, guanti, visiere, ovvero specifici prodotti per la detergenza e la disinfezione, ma anche la modifica in alcuni casi strutturale dell’ ambiente di lavoro e delle relative postazioni, l’ impiego di barriere anche fisiche, la modifica dei turni e quant’altro si renda necessario per dare esecuzione alle prescrizioni dei citati protocolli.
In una prima fase della diffusione del contagio, la specifica natura del rischio in questione – trattandosi di rischio cui sono esposti tutti i cittadini, su tutto il territorio nazionale, sia pure con significative differenziazioni su base principalmente regionale- aveva favorito lo svilupparsi di indicazioni ( tra queste, ad esempio, quelle dell’ Ispettorato Nazionale del Lavoro, del 13.3.2020, e le indicazioni operative della Regione Veneto del 23.3.2020) orientate nel senso di una non necessità di aggiornamento del DVR, al di fuori degli ambienti di lavoro sanitari o socio sanitari, ovvero di quei casi in cui l’ esposizione ad agenti biologici costituisse già di per sé rischio professionale specifico.
Non è possibile, tuttavia, dimenticare che, ai sensi dell’ art. 17 d.lgs. 81/2008, compito primario del datore di lavoro – non delegabile, al pari di quello relativo alla nomina del RSPP – concerne, innanzitutto “la valutazione di tutti i rischi”, con la conseguente elaborazione del cd. DVR, ai sensi dell’ art. 28 del medesimo decreto.
A sua volta, tale valutazione, ai sensi del citato art. 28 d.lgs. 81/2008, deve riguardare “ tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa”.
Come ampiamente chiarito dalla sentenza sul caso ThissenKrupp ( SS.UU. penali n. 38343/2014 ) e dalle altre che successivamente si sono occupate della questione ( tra le molte, Cass.pen.sez. IV, n. 20129/2016; sez. III, n. 30173/2018 ), il datore di lavoro – avvalendosi della consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione- ha l’ obbligo giuridico di analizzare e individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica e, come si è precisato, con il massimo grado di specificità, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’ interno dell’azienda, con riferimento alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione ovvero all’ ambiente di lavoro, e ,all’ esito di tale valutazione, redigere e periodicamente aggiornare il documento di valutazione dei rischi, all’ interno del quale è tenuto altresì ad indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e sicurezza dei lavoratori.
Pare opportuno anche brevemente soffermarsi sulla figura del RSPP, per ricordare che si è da tempo chiarito che lo stesso si caratterizza per lo svolgimento di un ruolo non gestionale ma di consulenza rispetto al datore di lavoro, con il quale ha il dovere di collaborare diligentemente, al fine di individuare i rischi connessi all’ attività lavorativa e di fornire le opportune indicazioni tecniche per fronteggiarli, eventualmente anche disincentivando eventuali soluzioni più convenienti sul piano economico ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori.
Sotto questo profilo anch’egli può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino in conseguenza della violazione dei suoi doveri ( così le già citate SS.UU. penali n. 38343/2014); deve tuttavia ricordarsi che il RSPP non dispone né di poteri operativi né decisionali, né ha doveri di vigilanza sulla corretta applicazione della modalità di lavoro ( cfr. Cass. pen. sez. IV, n. 24958/2017).
In conformità quindi alla natura del suo incarico, va ribadito che lo stesso può essere chiamato a rispondere a titolo di colpa professionale, qualora l’ infortunio sia riconducibile, sul piano oggettivo, ad una situazione che avrebbe avuto l’ obbligo di conoscere e segnalare al datore di lavoro, e pertanto in conseguenza di un errore tecnico, che si collochi sul piano essenzialmente valutativo, nell’ ambito, appunto, dell’ analisi dei rischi, per non avere segnalato una situazione che avrebbe dovuto diligentemente prendere in considerazione.
Pertanto, per tornare alla situazione attuale, in una prima fase è certamente indispensabile innanzitutto adottare procedure che, recependo i protocolli condivisi sopra ricordati ed adattandoli alla singola realtà aziendale, possano andare a costituire un’ appendice al DVR, provvedendo al loro aggiornamento in ragione dell’ evoluzione dell’ evento pandemico e delle diverse prescrizioni eventualmente sopravvenute.
Tuttavia, stante il chiaro contenuto dell’ obbligo di valutazione dei rischi, come interpretato dalla giurisprudenza penale, e non essendo dubitabile che il rischio da contagio da Covid 19 è, allo stato, un rischio certamente esistente sul luogo di lavoro, esso appare dover essere necessariamente valutato e fronteggiato dal datore di lavoro, sia pure con misure applicabili esclusivamente all’ interno dell’ ambiente di lavoro stesso – l’unico, naturalmente, nella sfera di giuridica disponibilità e controllo del datore stesso- , a nulla rilevando la circostanza che il medesimo rischio sia diffuso anche al di fuori dell’ ambiente medesimo.
Per concludere, quindi, sul profilo della possibile responsabilità penale del datore di lavoro rispetto al rischio sopra indicato, la doverosa raccomandazione è quella di adottare tempestivamente – e altrettanto tempestivamente aggiornare, qualora necessario – procedure formalizzate, portarle a conoscenza dei lavoratori ed efficacemente attuarle, pretenderne e verificarne l’ osservanza, avendo cura di conservare traccia documentale di ogni intervento realizzato ( vuoi a fini modificativi dell’ ambiente di lavoro che di fornitura di d.p.i., che di doverosa informazione ed eventualmente di specifica formazione dei lavoratori sul rischio in questione, nonché di verifica della pratica applicazione delle misure prescritte ), curare il costante coordinamento sia con il RSPP che con il medico competente e, non appena possibile, provvedere opportunamente all’aggiornamento del DVR attraverso una valutazione del concreto rischio Covid nell’ambiente di lavoro e l’ individuazione delle misure adottate per fronteggiarlo.
Avv. Chiara Tebano