Testa di legno. Quando risponde della bancarotta ?
La giurisprudenza di legittimità, oramai da tempo risalente, afferma costantemente che “l’amministratore di diritto ancorché testa di legno può essere chiamato a rispondere dei reati fallimentari in quanto commessi con attività di concorso con l’amministratore di fatto, attività di concorso che può essere attuata anche con omissioni; ciò in base all’art. 40 cpv. cod. pen. per il quale non impedire, un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo e desumendosi l’obbligo giuridico di impedire l’evento – che per costante giurisprudenza può scaturire da qualsiasi ramo del diritto – dall’art. 2392 cod. civ., riguardante obblighi e responsabilità degli amministratori; con la conseguenza che risponde del reato di concorso in bancarotta fraudolenta a norma dell’art. 40 cpv. cod. pen. l’amministratore di una società che, violando l’obbligo di vigilanza e quello di attivarsi per impedire atti pregiudizievoli per soci, creditori e terzi, obbligo di ordine generale desumibile dall’art. 2392 cod. civ., abbia consentito ad altri amministratori di commettere fatti di bancarotta […]. Ciò peraltro esaurisce soltanto l’elemento oggettivo del reato, essendo evidente che il richiamo agli artt. 40 cpv. cod. pen. e 2392 cod. civ. riguarda soltanto il rapporto di causalità tra l’omissione dell’amministratore di diritto e i fatti di bancarotta dell’amministratore di fatto” (Cass., Sez. V, n. 3328 del 05/02/1998, Riccieri). In quella stessa pronuncia si segnalava altresì, in ordine al diverso problema dell’elemento soggettivo del reato, che ad integrare il dolo può essere sufficiente la generica consapevolezza – in capo all’amministratore di diritto – del compimento di condotte distrattive ad opera dell’amministratore effettivo, “senza che sia necessario che tale consapevolezza investa i singoli episodi di distrazione, occultamento etc., che possono essere numerosi e svolgersi in un ampio arco di tempo; generica consapevolezza che peraltro non può presumersi sul semplice dato di avere il soggetto acconsentito a ricoprire formalmente la carica di amministratore e di avere firmato delle carte”.
Con una successiva pronuncia del 2004, la Corte precisava che “in tema di bancarotta fraudolenta, mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto “testa di legno”), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto” (Cass., Sez. V, n. 28007 del 04/06/2004, Squillante, Rv 228713).
La massima appena riportata si ripeteva anche con una pronuncia del 2010 (Cass., Sez. V, n. 19049 del 19/02/2010, Succi, Rv 247251), la cui motivazione si soffermava più diffusamente sulle ragioni a sostegno del principio di diritto come sopra ribadito. Vi si legge infatti che “la giurisprudenza di questa Corte formula distinzione in tema di responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta evidenziando il diverso atteggiarsi dei criteri di imputazione di quella patrimoniale e di quella documentale sotto il profilo soggettivo quando l’amministratore di diritto non sia anche quello effettivo ma risulti affiancato dalla figura dell’amministratore di fatto, eventualmente con esautorazione dei poteri del primo che per questo viene comunemente definito testa di legno. Ebbene, si è in proposito affermato che, con riguardo alla bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione (o per omessa tenuta in frode ai creditori) delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita, atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture. Non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della bancarotta patrimoniale o per distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto. Una simile posizione, se non produce effetti sostanziali quanto alla configurazione della responsabilità in ordine alla bancarotta fraudolenta documentale mediante radicale omessa tenuta delle scritture e dei libri sociali in frode ai creditori, richiede però, in base alla giurisprudenza ricordata sopra, un quid pluris per la attribuzione del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione nella ipotesi in cui la materiale distrazione sia posta in essere da altri”. A tali principi si allinea la sentenza che qui si allega, che ne riporta un utilissimo excursus.